Io sono diverso (dagli altri)

La cultura può essere definita come il contesto di riferimento in cui si forma un individuo. Un insieme di usi, costumi, tradizioni, abitudini, comportamenti, che si sommano a un sistema di valori, a un pensiero comune, a una visione condivisa del mondo e delle relazioni familiari e sociali, a un insieme di significati, regole, comportamenti che vengono assimilati da un gruppo sociale. Tradizionalmente è riferibile anche a un ordine, a un sistema di leggi, di canoni comportamentali, di codici linguistici e relazionali, comprensivi di obiettivi personali e sociali da raggiungere.

In essa ci si riconosce oppure no ma questo “humus” è il contesto in cui si vive e di esso si assimila l’alfabeto con cui descriviamo il mondo. 

Definisce da un lato l'identità e dall'altro il confine. Chi non condivide questo contesto non appartiene alla mia cultura. Il confine è il solco che mi separa dall’alterità.

Spesso, però, ci dimentichiamo un concetto basilare: “Ogni definizione è l’esito di un processo di costruzione sociale e istituzionale inevitabilmente arbitrario”.

La sociologa delle migrazioni Laura Zanfrini spiega chiaramente “il carattere fittizio e contingente dei confini che distinguono” chi appartiene a una cultura e chi è straniero. E questo significa, di fatto, che “la condizione di straniero non è una ‘qualità’ delle persone quanto l’esito di scelte”.

Vuol dire, e dovremmo tenerlo presente più spesso, che definiamo gli altri in base a parametri occasionali, variabili, relativi, usando definizioni che non sono assolute e definitive ma contingenti, determinate dal contesto di appartenenza e da un determinato periodo storico. Non solo. Applichiamo a un gruppo, fatto di tante individualità distinte, caratteristiche comuni. Eppure proprio noi siamo i primi a dire “io non sono come gli altri”. 

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pubblicato il 20/04/2018 ultima modifica 09/05/2022