Call for Papers Quaderni 2023 - Giustizia riparativa alla luce della riforma Cartabia. Questioni giuridiche e snodi pedagogici

 

Secondo i Basic principles on the use of restorative justice programs matters, elaborati dalle Nazioni Unite con la Direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, recante “Norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato” (sostituendo la decisione quadro 2001/220/GAI, all’art. 2, comma 1, lett. d), per “giustizia riparativa” si intende «qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale». 

L’ampia espressione “giustizia riparativa” lancia dunque una sfida importante, già a partire dal nomen muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come un conflitto che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise. Il reato non dovrebbe più essere considerato soltanto un illecito commesso contro la società, o un comportamento che incrina l’ordine costituito – e che richiede una pena da espiare – bensì come una condotta intrinsecamente dannosa e offensiva, che può provocare alle vittime privazioni, sofferenze, dolore e persino la morte e che richiede, da parte del reo, principalmente l’attivazione di forme di riparazione del danno provocato”.  La questioni fondamentali per la giustizia riparativa, dunque, non sono più (o non più soltanto) “chi merita di essere punito” e “con quali sanzioni”, bensì “chi soffre” e “cosa può essere fatto per riparare il danno”, laddove riparare non significa riduttivamente controbilanciare in termini economici il danno cagionato.

 Il focus sulla vittima non deve, tuttavia, far venir meno la consapevolezza che il reato resta un fenomeno complesso, implicante un gamma ampia e articolata di variabili (bisogni, motivazioni, interazioni, linguaggi, diritti, aspettative, costruzioni, rappresentazioni) che interessano trasversalmente tutti gli attori coinvolti, l’entourage parentale ambientale e sociale, la struttura istituzionale, sicché la riparazione non può che essere concepita come complessivo riequilibrio, ai vari livelli, del danno nella sua dimensione globale anche in un’ottica di prevenzione di danni futuri. Realizzabile tramite azioni positive, infatti, la riparazione ha una valenza profonda e, soprattutto, uno spessore etico ed educativo che la rende ben più complessa del mero risarcimento. Attraverso i programmi di giustizia riparativa non si ripara dunque il danno, ma si progettano (preferibilmente in spazi nuovamente aperti alla relazione diretta fra le parti) azioni consapevoli e responsabili verso l’altro, che possano ridare significato, laddove possibile, ai legami fiduciari fra le persone.

Come ricordano i documenti internazionali sopra menzionati, i programmi di giustizia riparativa hanno come obiettivo “la reintegrazione della vittima e del reo”, perché possano essere coinvolti, nella progettazione di un’azione che guarda al futuro come persone nuovamente integre, e non sminuite per sempre dall’esperienza della colpa e dell’offesa. L’azione riparativa è da intendersi non già, dunque, in una prospettiva compensatoria e di indennizzo, ma come un’attivazione che assume l’irreparabilità intrinseca di ogni gesto di ingiustizia (di per sé ineliminabile) e rilancia, al contempo, la possibilità di progettare un agire responsabile per il futuro.

Spesso evocata da autorevole dottrina italiana con l’immagine plastica della “giustizia senza spada”, la giustizia riparativa si pone, dunque, l’obiettivo di favorire un confronto attivo tra i “protagonisti” della vicenda illecita, che (attraverso l’attenzione rivolta al vulnus subito dalla vittima e ai bisogni della medesima, da un lato, e ad un processo di auto-responsabilizzazione dell’autore del reato, dall’altro) consenta ai soggetti coinvolti di attivare un percorso comune virtuoso tale da determinare, innanzitutto, una più profonda e reciproca comprensione delle cause dell’illecito e dei correlati emozionali ed esistenziali. Il tutto, nella prospettiva sia della riconciliazione, sia della risocializzazione dell’autore. Questo modello innovativo mira, allora, ad implementare la risposta istituzionale, connessa alla commissione di un reato, mediante strumenti basati sull’incontro, sul dialogo, sulla biunivoca comprensione, nelle differenti prospettive della vittima e dell’autore dell’illecito, del reciproco vissuto, affinché, attraverso l’empatia, possano essere prescelte soluzioni che consentano di addivenire a riparazioni simboliche, prima ancora (e piuttosto) che materiali.

Uno dei modelli di restorative justice è rappresentato dalla mediazione reo-vittima, con particolare riferimento al modello c.d. “umanistico”, che, attribuendo un ruolo centrale alla persona e ai suoi valori più profondi, prevede un percorso dialogico guidato, volto a promuovere la riconciliazione individuale e sociale. In questo ambito, dunque, sarebbe fondamentale che venga costituito uno spazio di ascolto in cui l’autore del fatto illecito e la persona offesa possano instaurare un dialogo confidenziale, finalizzato ad una sorta di reciproca immedesimazione nel vissuto dell’uno e dell’altra, attraverso la presa di coscienza, da parte di entrambi, del rispettivo ruolo assunto nella vicenda, attraverso il c.d. “storytelling”, che assume anche una sorta di efficacia “terapeutica” (o “catartica”).

 A livello europeo, i modelli di giustizia riparativa hanno conosciuto un importante sviluppo in diversi ordinamenti, come quelli dei Paesi dell’area scandinava e del nord Europa; di particolare interesse è, poi, l’esperienza della Nuova Zelanda, che ha rimodulato il proprio sistema penale ricorrendo frequentemente a programmi riparativi di dimensione “comunitaria”, i c.d. “restorative circles”, che coinvolgono la comunità, il vicinato, la famiglia del reo e quella della vittima, in gran parte ispirati alla tradizione culturale Maori.

In Italia, un importante impulso alla valorizzazione di modelli di giustizia riparativa sembra provenire dalla legge-delega 27 settembre 2021, n. 134 (c.d. “riforma Cartabia”) e dal successivo d.lgs. 150/2022 che le dà attuazione, con cui l’ordinamento penale italiano, in linea con le indicazioni internazionali e sovranazionali, si dota di una disciplina organica delle pratiche di giustizia riparativa riconoscendole legittimi strumenti di gestione dei reati. Se è vero che da tempo si attendeva una riforma che affermasse senza esitazioni, ambiguità, tentennamenti, il riconoscimento della giustizia riparativa all’interno del sistema penale ponendo senz’altro le basi giuridiche di una coesistenza fra i principi dialogici su cui si fonda e quelli della giustizia penale convenzionale, nondimeno, ci sono aspetti della riforma che sollecitano talune riflessioni critiche e che richiedono forse futuri interventi correttivi.

La Call for Papers, proposta dalle proff. Angela Muschitiello e Adriana Schiedi, a seguito di una riflessione scaturita all’interno del CIMePe, mira a stimolare discussioni, presentare esperienze e raccogliere contributi e suggestioni provenienti da vari ambiti disciplinari, prospettive di studio e di ricerca (non esclusivamente legate al mondo accademico) sul tema della “giustizia riparativa”, quale strumento dalle imprescindibili potenzialità sul piano giuridico e pedagogico, anche  alla luce delle modifiche introdotte dalla riforma Cartabia e successiva legge delega. Ciò consentirà di: chiarire l’idea legislativa all’origine della Riforma; delimitarne i punti di forza e di debolezza; ipotizzare gli scenari futuri che ci attendono.

La CfP, di carattere interdisciplinare, si rivolge a docenti universitari, ricercatori, assegnisti, dottori di ricerca, dottorandi ma anche esperti (avvocati, giudici, educatori professionali ecc.) che intendano inviare contributi in italiano, inglese, francese, tedesco o spagnolo sul tema in questione. I saggi, per un minimo di 15.000 battute fino ad un massimo di 40.000 battute (spazi e note comprese), dovranno pervenire alle curatrici inderogabilmente entro il 15/09/2023 all’indirizzo: angela.muschitiello@uniba.it; adriana.schiedi@uniba.it.

Nella lettera di accompagnamento, l’autore/autrice dovrà indicare le sue generalità e l’indicazione del recapito telefonico e email per le comunicazioni. In allegato dovrà essere trasmesso il file in formato word e, qualora trattasi di un dottorando, una lettera di presentazione del docente tutor e l’università di riferimento.

Si raccomanda agli autori di seguire scrupolosamente i criteri redazionali, pena la mancata accettazione dei contributi inviati e la conseguente restituzione degli stessi.

La valutazione avverrà con un processo di peer reviewing in modalità double blind. Le valutazioni, siano esse positive o negative, verranno comunque trasmesse agli autori.

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pubblicato il 17/05/2023 ultima modifica 17/05/2023