1847 16 aprile n. 587

A.S.BA. – sez. Trani, Gran corte civile, vol. 105, II foglio di udienza dell’anno 1847 (apr.-giu.), fol. 74r-94v.

All'udienza del 16 aprile 1847 la Corte di Trani fu chiamata a pronunciarsi sugli appelli proposti reciprocamente daFrancesco Caravita duca di Toritto, Eleonora Caravita, Beatrice Caravita, Francesca Caravita, Michelangelo Parrilli e Magarita Pellegrino; Nicoletta Nuzzo duchessa di Toritto e Francescantonio de Nora.

In materia di donazione «fatta dal marito in favore della moglie a causa di matrimonio di una determinata somma col patto di soddisfarsi in tanta quantità di fondi»  gli appellanti sottoposero alla Gran Corte di Trani il quesito se tale atto potesse impugnarsi di simulazione o di frode dai creditori di epoca anteriore o posteriore.  Al fine di decidere il collegio preliminarmente si soffermò sulla natura e sul significato dell’istituto della simulazione, consistente - secondo la definzione data nel Codex: «Leg. 3 Cod. plus val quod agitur»  - nel «nascondere la verità e nel dare ad intendere ad altri quello che tacitamente non si fa» .

Tale condizione però non corrispondeva la caso di specie, in cui vi era stata la promessa di matrimonio, la donazione era avvenuta per fatto irretrattabile e il donante e la donataria avevano provveduto anche al sostentamento dei figli, senza poter più ritornare al «primiero stato»: tali condizioni escludevano potesse presumersi di aver simulato la donazione. E tale assunto trovava conforto nella «Leg. 18 Cod. de probat»: «Fictionem seu simulationem regulariter non presumi donec probatur» .

Per la frode, invece, occorreva riscontrare la sussistenza dei due «estremi essenziali, cioè consilium fraudis et eventus damni» come previsto dalla «Leg. 15 Dig. quae in fraudem creditorum» . Ed anche se si fosse verificato il solo danno sarebbe stato necessario riscontrare sempre «il disegno di cagionarlo» come prevedeva il frammento del Digesto «Leg. 79. de divers. regul. juris»: «Fraudis interpretatio semper in jure civili non ex eventu dumtaxat, sed ex consilio quoque desideratur» . Tali premesse definitorie per affermarte che nel caso in esame non potesse ravvisarsi frode, per mancanza di entrambi dgli estremi: il primo difettava per legittimità dell’oggetto della donazione, praticato a scopo di matrimonio, per cui non si poteva presumere in tale atto la volontà di frodare gli altri. Né poteva sussistere il secondo estremo «cioè quello del danno in favore dei creditori del donante, semprechè si voglia dar luogo ad un semplice dettaglio del valore de’ fondi espropriati e de’ debiti esistenti nell’epoca della detta donazione» . Per questi motivi la Corte rigettava gli appelli proposti.

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pubblicato il 19/12/2013 ultima modifica 09/05/2022