BARI - «Abbiamo trovato non solo una scogliera corallina, ma addirittura un sistema sommerso di scogliere animali di cui la precedente è una delle manifestazioni peculiari». Giuseppe Corriero, direttore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, nel giro di due anni è passato dallo stupore per una scoperta eccezionale, riportata per la prima volta dalla Gazzetta, alla soddisfazione di aver trovato conferme straordinarie: nelle profondità del mar Adriatico, fra i 40 e 70 metri, c’è un ecosistema che, passando da Bari a Monopoli, si estende verso nord fino alla Isole Tremiti e verso sud fino a Otranto (e ci sono evidenze anche nelle coste nord albanesi e del Montenegro): insomma, una miniera di formazioni rocciose sottomarine costituite e accresciute dalla sedimentazione degli scheletri calcarei, peraltro ancora da esplorare («credo che gli ultimi dieci anni della mia carriera saranno dedicati quasi esclusivamente a questo»).

SCOPERTA - Nel marzo del 2019, al largo di Monopoli, dopo tre anni di studi e ricerche, spuntò la punta dell’iceberg: pareti modificate da madrepore, con caratteristiche molto simili alle barriere coralline di memoria equatoriale («questo tipo di comunità marina negli oceani di tutto il mondo è stato osservato soltanto in un altro caso: nel mar Rosso a 200 metri di profondità», affermò Corriero) ritrovate in ambiente di media profondità (tra i 40 e i 55 metri), a circa due chilometri dalla linea di costa in un’area che si estendeva per 2,5 chilometri. Già da allora si presumeva una presenza molto più ampia, come puntualmente verificato successivamente. «Ormai è chiaro - spiega Corriero - che si tratta di una caratteristica tipicamente pugliese che più a sud si manifesta con popolamenti bellissimi. Nel Barese, poi, c’è una rilevante presenza, tra Bari, Mola e Capitolo, non solo di madrepore, ma anche di altri animali costruttori, ostriche nel caso specifico, che in passato si riteneva potessero edificare solo piccole strutture. Insomma, nel nostro mare siamo di fronte a scogliere coralline più o meno estese e strutturate (quella di Monopoli per ora resta la più significativa nella provincia barese - n.d.r.) e pareti di ostriche di un metro e mezzo di spessore e di centinaia di metri di lunghezza. Bisogna immaginare come dei pinnacoli verticali, uno dietro l’altro, in ambienti quindi movimentati fatti di scheletri di animali su cui c’è tantissimo corallo rosso. Soprattutto a Otranto emerge la spettacolarità di questi ambienti».

MODELLO - Solitamente quando si parla di barriere coralline viene alla mente la tipicità della loro presenza in acque basse. La peculiarità alle nostre latitudini, invece, è che non cresce superficialmente. Nel caso delle Maldive, ad esempio, i processi di simbiosi tra le madrepore e le alghe unicellulari, alla base dei processi vitali che si svolgono nella comunità, sono facilitati dalla luce. Da noi invece avvengono in penombra, quindi le madrepore costruiscono queste strutture imponenti di carbonato di calcio in assenza di alghe. C’è molto meno pesce e i colori dominanti sono più soffusi e dati da spugne policrome con tonalità che vanno dall’arancione, al rosso, al viola. «Non ho dimenticato le polemiche - ricorda Corriero - su quanto fosse corretto o meno parlare di barriera corallina. Chiamiamola, se si vuole, biocostruzione a coralli. Di sicuro risponde a un modello che rimanda a quello tipicamente equatoriale. Ovviamente, come ho già avuto modo di dire, la dimensione ecologica non è di barriere tropicali con squali e tartarughe marine, semmai di un ambiente con murene e dentici. Per capirci, quando definiamo una foresta possiamo far riferimento indifferentemente alla Foresta di Mercadante, alla Foresta Umbra e alla Foresta Amazzonica, sottintendendo livelli di complessità ecologica e di biodiversità con ordini di grandezza diversi. Tutte però hanno un modello di sviluppo ecologico simile e sono aree di alta diversità ecologica. D’altra parte chiamiamo barriere coralline, senza che nessuno si indigni, costruzioni, comprese quelle equatoriali, che dovremmo in realtà definire barriere madreporiche».

IMMAGINI - Che le si chiamino barriere o scogliere corallina, ciò non toglie si tratti di una scoperta di assoluto e inaspettato rilievo in un ambiente marino (quello sotto i 40 metri) fino a qualche tempo fa pressoché inesplorato (sul sito Internet della Gazzetta è possibile da oggi ammirare immagini inedite girate una decina di giorni fa). I ritrovamenti (allo studio hanno partecipato anche i ricercatori di Scienze della Terra dell’Uniba, dell’Università del Salento e di Roma Tor Vergata), così come le successive investigazioni, sono stati possibili grazie a una tecnologia di immersione che permette di raggiungere quote impegnative stazionando più a lungo rispetto a quanto è consentito da bombole con tecnologia tradizionale. I subacquei professionisti, con robot filoguidati e dotati di telecamera, hanno setacciato l’Adriatico (e continueranno a farlo nei prossimi anni) facendo venire a galla un mondo sommerso che, parola di esperti, è ancora tutto da scoprire…

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