Taranto: da università feudale a università demaniale

Il Principato di Taranto sorse sul finire del secolo XI, a conclusione della guerra fratricida fra Ruggero e Boemondo, alla morte del di loro padre Roberto il Guiscardo (1086): il dominio del Principato di Taranto comprendeva inizialmente le Terre di Bari e di Otranto e parte della Basilicata; sotto Manfredi (1250) si estese a quasi tutta Terra d’Otranto, le parti marittime di Terra di Bari  e di Basilicata, oltre ad un angolo di Calabria Citra. Il dominio fu completato con le Contee di Gravina, Tricarico e Montescaglioso, cioè con l’intera Basilicata e con l’interno di Terra di Bari; sotto Filippo I (1304) si estese su quasi tutta Terra di Bari con Gioia, Palo, Corato, Spinazzola, Canosa.

Il Principato fu soggetto per centinaia di anni a principi di sangue reale, tranne brevi intervalli in cui fu alle dirette dipendenze della corona: durante i regni di Manfredi e Carlo I d’Angiò; sotto Carlo II sino al 1294 e dal 1299 al 1302; sotto Giovanna I dal 1374 al 1376; sotto Ladislao dopo il 1407; sotto Giovanna II dal 1414 al 1416.

La storia del Principato di Taranto fu davvero singolare di fronte alle altre provincie del Regno, dove gli altri feudi – pur ampi e potenti - quasi sempre non costituivano unità organiche, ma comprendevano spesso molte città e castelli e casali divisi e abbastanza lontani gli uni dagli altri.  Tale situazione permise l’affermazione di un regime feudale con i caratteri – scrive G.M. Monti - «genuini primigenei importati dalla Francia ad opera dei Normanni».

Giovanni Antonio del Balzo Orsini fu l’ultimo principe di Taranto: figlio di Raimondello, venne riconosciuto erede del Principato alla morte del padre da Luigi II d’Angiò. Contrastato da re Ladislao, che per ottenere il possesso di Taranto aveva sposato la vedova di Raimondello, Maria d’Henghien, ottenne definitivamente il Principato della città da Giacomo di Borbone, marito di Giovanna II, quando questi, caduto in disgrazia della Regina e del popolo napoletano, si rifugiò a Taranto prima di ritirarsi definitamente in Francia.

Alla morte della regina Giovanna II, Giovanni Antonio Del Balzo Orsini si rifiutò di riconoscere la designazione di Ferdinando quale sovrano di Napoli: prese parte infatti, al fianco di Giovanni, figlio di Renato d’Angiò, alla vittoriosabattaglia di Sarno del 7 luglio 1460 contro Ferdinando.

Convinto da sua nipote Isabella, moglie di Ferdinando, negò il suo aiuto militare a Giovanni d’Angiò nella successiva battaglia di Troia del 18 agosto 1462 contro l’Aragonese, nella quale gli angioini furono sconfitti.

Nella notte tra il 14 e il 15 novembre del 1463, nel castello di Altamura, Giovanni Antonio del Balzo Orsini morì - si sospetta - strangolato per ordine del Re Ferdinando d’Aragona, memore del suo tradimento nella battaglia di Sarno.

Con la sua morte, senza che a lui sopravvivesse prole legittima, si estinse la famiglia Del Balzo Orsini e con essa il Principato di Taranto: la sua eredità fu raccolta da Re Ferdinando d’Aragona, che subito incorporò i vastissimi possedimenti che lo costituivano (città, terre e castelli) nel Regno di Napoli: così Taranto divenne città demaniale.

Scrive il Merodio: «conoscendo che per ragioni di legittima successione il principato si doveva al re Ferdinando, il principato si doveva al re per le ragioni di sua moglie, nipote del principe morto, subito (i Tarantini) inalzarono le bandiere al re e spedirono i loro ambasciatori, invitandoli a venire in Taranto per pigliare il possesso».

Seppur vero che la moglie di don Ferrante era l’unica erede di Giovanni Antonio Del Balzo Orsini, in quanto essa era figlia di Tristano Chiaromonte, conte di Copertino e di Caterina Del Balzo Orsini, unica sorella di Giovanni Antonio, si ritiene che la sovranità di Ferdinando, più che per i diritti ereditari vantati dalla regina Isabella, venne sollecitata dagli stessi cittadini di Taranto, i quali «avuto ch’ebbero l’avviso della morte del loro principe, li parve respirare così dal travaglio della guerra, come anche della tirannide di quello, che in tutto il tempo del suo principato gli afflisse con esorbitanti gravezze».

Mentre nell’Italia settentrionale fiorivano le Signorie in una mirabile attività di progresso economico, artistico e sociale, nel Meridione - scrive il Faraglia - «le Università avevano ragione di invocare il demanio del re. Le terre demaniali, dipendendo direttamente dal Re, erano più favorite e meno angariate: con molte e grandi franchigie, non soggette al capriccio dei signori, i quali ogni cosa, che fosse loro utile, reputavano lecita; e poi il semplice nome di città e terra regia metteva rispetto».

D’altro canto la corona Aragonese, di fronte all’anarchia ed alle continue ribellioni del baronaggio, spesso causa di sovvertimenti dinastici, non poteva che acconsentire  di ricondurre all’amministrazione diretta del monarca quelle regioni i cui Principi si arrogavano spesso diritti di Sovranità Assoluta.

Difatti la politica di Ferdinando fu rivolta a rivendicare i diritti dinastici sul Regno di Napoli dai Baroni e soprattutto dal Principe di Taranto: egli comprese che la sicurezza del suo trono doveva considerarsi instabile e vacillante, finchè la potenza baronale non fosse stata ridotta o spenta del tutto.

Così l’Università di Taranto deliberò, in piena concordia ed all’unanimità, l’atto di sottomissione spontanea e la richiesta che la sovranità del re si estendesse sulla città: richiesta che si trasformò in privilegio concesso da re Ferdinando I nel 1463:

Imprimis la ditta università congregata et adunata insiemi per la morte novamente occorsa de la bona memoria del Signor Ioanne Antonio principe et signor loro paxato unanimiter et concorditer nemine discrepante hanno electo et invocato per loro signore la prefata majestà et elevaro le soe felice bandere, il che supplica la ditta Università che la preditta majestà si degna acceptarli per sui fidelissimi vaxalli et servitori et quelli havere in ogni loro cose et oportunià per recomandati. Placet Regie majestati (Privilegio del Re Ferdinando I del 22.11.1463, cap. 1, in Codice Architiano, documento nr. 32, f. 60v ss).

Item supplica la ditta università alla prelibata majestà se degna tener la città de Taranto in demanio per sua majestà et per soi heredi et successori et quella non alienar né ceder ad altro signor che fosse salvo ad quella piacesse che  fosse legittimo figliolo di quella. Placet Regie majestati (Ibid. cap. 2).

Tale atto di spontanea soggezione al re Ferdinando della città di Taranto del 1463 presentato da una commissione di notabili della città costituisce quasi la premessa di una serie di benefici che su sollecitazione, espressa in forma di  esplicita richiesta, della stessa Università, il sovrano aragonese concesse per il presente e per il futuro, approvandoli in tutto o in parte, uno per uno.

Si tratta della conferma di privilegi concessi da altri sovrani e già da lungo tempo goduti, della richiesta di nuove facilitazioni, della soppressione di alcuni soprusi e di non poche vessazioni di cui i cittadini erano rimasti vittime durante il vario alternarsi di governatori avari ed avidi di ricchezze, a danno del bene pubblico, e senza alcuna considerazione per la generale miseria.

 


 

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pubblicato il 24/09/2013 ultima modifica 19/12/2013