LA RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO

 

 

 

CORSO DI RAGIONERIA APPLICATA

 

CORSO DI LAUREA IN MARKETING E COMUNICAZIONE AZIENDALE

A.A. 2013/2014

 

PROF. GIANLUCA GIRONE

 

 

 

 

 1. Le novità per le società a responsabilità limitata.

Il Decreto Legislativo 6 del 17/1/2003 – c.d. “Riforma del diritto societario” - ha radicalmente modificato il diritto societario determinandone una nuova forma nel codice civile e adattandone i contenuti a nuove esigenze.

I provvedimenti hanno riguardato sostanzialmente le società di capitali e sono stati ispirati dalla duplice esigenza di pervenire adun’armonizzazione dei modelli societari nell’Unione (la legge si collega ad altri provvedimenti di carattere comunitario) e di semplificare la normativa del settore.

Ferma restando la differenza di finalità e di aspetti legislativi che tradizionalmente ha sempre caratterizzato i due macromodelli societari (di persone e di capitali), si è tuttavia cercato di cambiare quegli elementi ritenuti desueti o non in linea con un assetto operativo flessibile e con una maggiore aderenza alla realtà gestionale, “avvicinandone” in parte gli schemi, agendo fondamentalmente sul secondo.

Per quanto riguarda le società a responsabilità limitata le novità hanno inerito principalmente la possibilità di valorizzare la prestazione d’opera dei soci e i debiti verso gli stessi nel bilancio di detti modelli societari, accompagnandola con una polizza di assicurazione o con una fideiussione bancaria.

La prestazione d’opera trova finalmente accoglimento nelle attività delle srl, dopo che a lungo in dottrina se ne era sottolineata l’importanza della sua funzione nell’economia dell’azienda e la rilevante incidenza economica. In altre parole la mancanza di essa rendeva parzialmente incompleto il bilancio, ignorandone una componente significativa.

L’attività prestata dal socio a favore dell’impresa è uno degli elementi che influiscono maggiormente sulla composizione del capitale della società e sulla determinazione del risultato economico della stessa.

Analogamente l’inserimento tra le passività dei debiti verso soci colma una lacuna legislativa notevole, aumentando e migliorando il bagagliodi informazioni a disposizione del lettore del bilancio e evidenziando le situazioni di “sofferenza” della società verso i suoi quotisti.

I debiti verso soci costituiscono normalmente dei debiti di finanziamento contratti con gli azionisti ma, essendo postergati (pagabili posticipatamente) rispetto ad altri debiti sono una sorta di capitale di rischio aggiuntivo.

 

2. Le novità per le società per azioni.

Decisamente più articolato e complesso e il disposto normativo previsto per le spa, cui è fondamentalmente rivolta la riforma.

I filoni di intervento sono riconducibili sostanzialmente a quattro gruppi: gli interventi sulla costituzione delle spa, la ulteriore diversificazione delle fonti di finanziamento (si pensi ai patrimoni destinati), la revisione integrale del controllo di gestione e l’ampliamento della casistica che consente il recesso del socio.

Un discorso a parte meritano, poi, altre norme della legge che hanno riflesso sul bilancio, come quelle emanate per regolamentare il leasing, trattate nel paragrafo dedicato al bilancio.

Gli interventi per la costituzione delle spa si sostanziano nella determinazione del limite minimo di capitale sociale che viene ora portato a 120.000 EURO con la finalità di irrobustire ulteriormente il patrimonio delle società, norma che si combina con la riduzione del numero di decimi  che devono essere versati all’atto della costituzione che vengono portati al 25% del c.s. (precedentemente erano richiesti 100.000 EURO e il versamento dei 3/10).

Ma le novità più interessanti riguardano la procedura costitutiva che vede nel meccanismo di omologazione della società una semplificazione volta a incentivare la creazione di nuove imprese e a evitare che esse non vengano costituite per il mancato rispetto di adempimenti formali, causa in passato del rigetto di numerose istanze di iscrizione al registro delle imprese.

I patrimoni destinati – inizialmente pensati anche per le srl e poi utilizzati solo dalle spa – sono uno degli elementi qualificanti della riforma, permettendo di separare la parte del patrimonio di una società destinata al compimento delle operazioni per realizzare un determinato affare (patrimonio destinato) dal resto del patrimonio utilizzato per le altre attività.

Il legislatore ha previsto due forme di separazione delle attività dedicate a specifici business dalle altre attività: i patrimoni destinati in senso stretto e i finanziamenti destinati.

Presupposti per poter individuare il patrimonio (o il finanziamento) destinato sono la rilevanza del affare per cui esso è creato e la specificità dell’attività svolta.

In altre parole si può costituire un patrimonio destinato se ricorrono le condizioni di economicità e di convenienza economica dello stesso affare e se esso si caratterizza per alcuni aspetti che lo differenziano dalle altre attività dell’impresa, anche se ad esse deve essere sempre riconducibile.

Sotto il profilo contabile si evidenzia che la rappresentazione contabile del patrimonio destinato può aversi alternativamente o con un’unica voce che individua specificamente il patrimonio separandolo dalle altre attività, alla stregua di quanto si fa con la voce “Partecipazioni” o distinguendo in ciascuna voce del bilancio la parte relativa al patrimonio destinato, usando opportuni sottoconti.

Per entrambe le tipologie è previsto il conferimento tanto in denaro quanto in natura ed anche la prestazione d’opera che viene valorizzata alla stregua di quanto avviene ora per le srl, con un’applicazione estensiva della norma.

Un vantaggio significativo dell’introduzione dei patrimoni e finanziamenti destinati sta nel fatto che essi vengono separati nettamente dal resto del capitale della società sia sotto il profilo giuridico che sotto quello economico, evitando che le obbligazioni sociali contratte per le altre attività possano trovare soddisfacimento nei risultati economici del patrimonio destinato e viceversa.

Focalizzando l’attenzione sul patrimonio destinato si sottolinea che esso, in ogni caso non potrà mai eccedere il limite massimo del 10% del capitale della società, dovrà essere sempre individuato specificamente nell’atto costitutivo della società e potrà essere sostenuto economicamente da specifici titoli di debito che concorrano al suo finanziamento, restando escluse da esso le altre attività dell’impresa.

Il finanziamento destinato si caratterizza, invece, per alcuni profili che lo distinguono dal patrimonio destinato e ne evidenziano le peculiarità:

1)                 non viene determinata formalmente con sottoconti o con specifiche poste di bilancio la costituzione di un patrimonio, essendo limitato il conferimento al solo aspetto finanziario;

2)                 tutti o una parte dei proventi ottenuti dal finanziamento sono destinati a rimborsare il finanziamento stesso (autofinanziamento);

3)                 non è previsto alcun inserimento nell’atto costitutivo della società degli elementi del finanziamento destinato (come avviene invece obbligatoriamente per i patrimoni dedicati), ma la sola stipula del contratto;

4)                 non esistono limiti quantitativi alla loro costituzione, a differenza di quanto visto per il patrimonio che non deve eccedere il 10% del c.s.;

5)                 non si ha per il finanziamento il limite delle attività riservate da leggi speciali, che non possono essere ricomprese in un patrimonio destinato;

6)                 non è possibile utilizzare strumenti finanziari (titoli patrimoniali), come invece avviene per i patrimoni destinati.

 

Il terzo filone di intervento è quello del controllo di gestione che è stato totalmente rideterminato dal legislatore, affiancando al tradizionale monitoraggio sulle attività del consiglio di amministrazione effettuato dal collegio sindacale, altri due schemi di controllo di gestione utilizzati in realtà diverse.

Il sistema dualistico ricalca il modello tedesco di controllo di gestione, individuando due organi distinti – consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza – che sostanzialmente corrispondono al cda e al collegio sindacale. La differenza tra i due sistemi sta nel fatto che il modello diispirazione tedesca prevede la possibilità di nominare gli amministratori da parte del consiglio di sorveglianza e l’approvazione del bilancio ad opera dello stesso consiglio di sorveglianza (entrambe funzioni che nel modello tradizionale sono di pertinenza dell’assemblea dei soci e che pongono – soprattutto la prima - dei problemi di indipendenza tra i due organi, anche se il disposto degli art. 2382 e 2409-duodeciesprevede le cause di ineleggibilità e decadenza per i due organi.

In altre parole è possibile nominare componenti del consiglio di amministrazione che sono “espressione” del consiglio di sorveglianza e, pertanto non del tutto indipendenti nella sostanza da esso, fermo restando che la norma giuridica impedisce la nomina ad amministratore di un sindaco.

I membri del consiglio di sorveglianza, in ogni caso, non devono essere in numero inferiore a tre e almeno uno di loro deve essere iscritto nel Registro dei Revisori Contabili.

Ancor più delicati sono i problemi posti dal sistema monistico di ispirazione anglosassone, in cui è previsto un organo preposto a gestione e un comitato per il controllo sulla gestione nel quale possono essere nominati amministratori senza rappresentanza, con notevole indebolimento del fondamentale presupposto dell’indipendenza.

Nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio il numero dei componenti di detto comitato non deve essere inferiore a tre.

Gli schemi tratteggiati sono tipici di realtà socio-economiche differenti e pongono quesiti circa l’opportunità di riproporli in un ambito con caratteristiche non riscontrate in altre realtà.

L’inserimento di questi schemi è tuttavia stato determinato dalla necessità di uniformare la normativa del settore ed i tipi giuridici, creando un modello di società europea unico, per raggiungere obbiettivi di armonizzazione nell’Unione.

Il recesso del socio è stato a sua volta modificato nel senso che è stata aumentata la possibilità di ricorrere a questo strumento giuridico per poter tutelare al meglio i diritti del socio, facilitandone l’uso e ampliandone l’ambito di applicabilità rispetto a quanto previsto dalla normativa previgente.

La norma va anche nella direzione di semplificare – principio alla base di tutta la riforma come si è già visto - sia le operazioni di uscita dei soci dalla società, riducendo i relativi ostacoli giuridici che quelle di accesso a nuovi soggetti potenzialmente interessati a subentrare nel c.s.a chi non sia più interessato alla partecipazione ad esso e così conferendo nuova linfa (risorse economiche o altro) alla società stessa.

In concreto per estendere il diritto di recesso del socio sono state inserite nel codice civile delle nuove fattispecie che consentono al socio di esercitare con più facilità tale diritto e che si aggiungono a quelle già preesistenti che, naturalmente, restano valide.

In particolare alle cause “tradizionali” che consentivano l’esercizio del diritto di recedere come la modifica dell’oggetto sociale, la trasformazione della società (con l’eventuale mutamento del connesso regime di responsabilità per i soci), la costituzione di società a tempo indeterminato o il trasferimento della sede sociale all’estero se ne aggiungono altre nuove tra cui la stipula delle cosiddette clausole compromissorie che demandano a terzi (arbitri) il compito di dirimere le controversie aziendali che ora consentono se applicate il diritto al socio di recedere, così come la revoca dello stato di liquidazione non voluta da alcuni soci o l’esclusione dalla quotazione per effetto di delibera assembleare contraria alla quotazione ma non unanime che consente ai soci dissenzienti (che hanno espresso voto negativo e quindi favorevole alla quotazione stessa) di recedere non venendo applicata la loro volontà ed essendo costretti altrimenti a continuare l’attività senza la “certificazione” del mercato quotato.

L’elencazione apparentemente molto tecnica e, quindi, di non sempre agevole lettura risponde a esigenze concrete manifestatesi nella pratica societaria precedente e a specifiche richieste avanzate in tal senso da buona parte della dottrina.

Le cause di attivazione del diritto di recesso viste hanno natura inderogabile e sono quindi ineludibili da parte della società che non può opporsi in nessun caso - qualora si verifichino queste fattispecie - alla volontà del socio di uscire da essa per i motivi visti.

Ad esse se ne aggiungono delle altre che sono, al contrario, derogabili che consentono al socio di recedere ma con determinati limiti. L’esercizio del diritto di recesso è in tali ipotesi ampliato rispetto alla norma precedente, ma  al tempo stesso vengono poste delle condizioni di applicabilità del diritto ai nuovi profili.

Si tratta della possibilità di prevedere nello statuto della società la derogabilità ad alcune cause di recesso. In altre parole nel regolamento della società si può prevedere la soppressione del diritto di recesso se i soci che intendono avvalersene per una determinata causa non hanno concorso alla approvazione della relativa delibera nell’assemblea.

Ad esempio se si decide di prorogare i termini di tempo della società ed una parte dei soci si astiene o vota contro questi non potranno successivamente esercitare il diritto di recesso.

Analogamente per il caso di clausole che introducono limiti alla circolazione delle azioni o particolari diritti di prelazione e di gradimento.

 

3. Le novità per il bilancio d’esercizio

Tra le novità principali in tema di contabilità spicca il riferimento al fair value previsto dai principi contabili internazionali che orienta in modo diverso tutta la redazione del bilancio rispetto a quanto previsto  a livello nazionale e si pone in contrapposizione netta al metodo generale del costo. In particolare è dato un ruolo centrale al valore di mercato come elemento regolatore delle determinazioni dei valori dibilancio. Un’applicazione importante di questa novità è data dalla diversa impostazione contabile delle immobilizzazioni immateriali che secondo lo IAS 39 devono essere ripartite in un periodo non superiore ai venti anni e in modo da determinare “il loro concorso alla produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto determinabile, il loro valore di mercato” (secondo il nuovo punto 3-bis della nota integrativa). L’avviamento viene interessato in modo significativo da questa novità data la natura di immobilizzazione immateriale di durata indeterminata, assoggettabile ora e per effetto della riforma a metodi di determinazione diversi rispetto a quelli tradizionali (ammortamento quinquennale, iscrivibilità in bilancio consentita solo col consenso del collegio sindacale e previa acquisizione a titolo oneroso) che si sostanziano nel diverso arco temporale di riferimento e, soprattutto, nel dover confrontare il valore dell’avviamento con elementi esterni all’impresa (valore di mercato).

Notevole è anche la ridefinizione del concetto del bilancio in forma abbreviata che può essere redatto a condizione che nel primo esercizio o in altri esercizi per due anni consecutivi non  superi due dei tre limiti seguenti 3,125 milioni di EURO per l’attivo, 6,25 milioni di EURO per i ricavi delle vendite e 50 unità di dipendenti occupati in media nell’esercizio.

Questo limite, già previsto dalla normativa antecedente la riforma del diritto societario viene integrato con la novità costituita dal divieto per le società quotate di usare questa forma contabile di redazione del bilancio, anche nell’ipotesi di raggiungimento dei suddetti valori.

Per quanto riguarda il leasing le novità introdotte hanno inerito la patrimonializzazione dei beni ottenuti in leasing, dopo il riscatto degli stessi. Essi dovranno essere iscritti separatamente rispetto alle altre immobilizzazioni materiali a differenza di quanto avveniva in precedenza.

Inoltre è stato introdotto un nuovo punto della nota integrativa (il numero 22) in cui devono essere indicate le “operazioni di locazione finanziaria che comportano il trasferimento al locatario della parte dei rischi e dei benefici inerenti ai beni che ne costituiscono oggetto” (riscatto).

Infine in tema di interferenze fiscali è stato soppresso il 2° comma dell’art. 2426 che prevedeva la possibilità di “effettuare rettifiche di valore ed accantonamenti esclusivamente in applicazione di norme tributarie”.

La modifica della norma ha portato all’inserimento di nuovi elementi nel bilancio:

1)    inserimento tra le attività dello S.P. della voce “Crediti tributari”, in cui confluiscono le imposte versate in eccedenza rispetto al dovuto;

2)     inserimento tra le attività dello S.P. della voce “Imposte anticipate”, opportunamente distinte dalle altre per evitare equivoci;

3)    inserimento nella preesistente voce “Fondo imposte” del passivo dello S.P. della nuova specifica “anche differite”;

4)    inserimento nella voce del conto economico numero 22 “Imposte sul reddito d’esercizio” dell’integrazione apportata dalla riforma “correnti, differite, anticipate”;

5)    inserimento nella nota integrativa del nuovo punto 14 che prevede la predisposizione di un prospetto contenente:

a)              descrizione delle imposte differite ed anticipate, specificando l’aliquota applicata, le variazioni delle stesse rispetto all’esercizio precedente e gli importi accreditati o addebitati ai prospetti di bilancio;

b)             ammontare delle imposte anticipate contabilizzate e di quelle non contabilizzate con la relativa motivazione.

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pubblicato il 12/03/2014 ultima modifica 12/03/2014