A Milano l’esperienza del CAP di Uniba con il progetto DimiCome

Cosa lascia in eredità il progetto DimiCome alla Puglia, “un territorio difficile per il mercato del lavoro, con meno opportunità di altri, ma che alla fine è stato capace di costruire non solo inclusione ma buona inclusione?”.

E’ la domanda rivolta da Laura Zanfrini, responsabile del Settore Economia e Lavoro di Fondazione ISMU, al Centro per l’Apprendimento Permanente dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro che ha implementato a livello regionale DimiCome, studiando le imprese pugliesi capaci di fare Diversity Management.

L’occasione l’ha fornita il convegno nazionale “Dare valore per creare valore. Riconoscere e attivare il potenziale dell’immigrazione” che si è svolto giovedì 18 novembre 2021 a Milano, per promuovere il rinnovamento del modello italiano d’integrazione e il sostegno dell’occupabilità dei migranti perché “Abbiamo bisogno di costruire economie di lavoro inclusive – ha detto Zanfrini in apertura dei lavori  - per garantire sostenibilità dei nostri luoghi di lavoro”.

 

 

Finanziato dal Fondo Asilo Migrazione e integrazione, il progetto DimiCome mira a riconoscere peculiarità e competenze dei migranti, massimizzandone l’impatto positivo sulla competitività aziendale. La diversità culturale può diventare un punto di forza per la crescita, a patto di valorizzare le risorse umane immigrate, tenendo conto di soft skill specifiche (competenze e abilità informali) come chiave di volta per un’economia inclusiva e sostenibile.

Serafina Pastore, che per il C.A.P. di Uniba è coordinatrice delle attività di certificazione e valutazione delle competenze, ha sottolineato l’importanza del Diversity Management e di un processo di “fertilizzazione” territoriale attraverso le buone pratiche e quanto sia utile fornire un portfolio di competenze ai migranti, superando però l’idea che sia un semplice servizio a vantaggio degli uffici per l’impiego o per la ricerca attiva del lavoro.

 “L’esperienza ci dice che la pratica diventa modello. Più che pensare che dalle buone pratiche che abbiamo incontrato emerga un modello unico o prescrittivo, è opportuno considerarne l’adattabilità rispetto alle istanze che vengono dal basso. Gli imprenditori ci hanno detto che rispetto alle soft skill emerse, hanno apportato cambiamenti nel modo di gestire la propria attività. Altri che, con l’inserimento del soggetto migrante, c’è stata una cross-fertilization: si è rivelato utile ‘guardare come fa il collega’. E’ emerso poi che la contaminazione è una ‘benedizione’, parola del gergo valutativo che indica l’esito, l’effetto, inatteso. Durante le attività di capacity building abbiamo infatti scoperto che alcune imprese hanno avviato un processo di riorganizzazione interna della loro attività, ad esempio rispetto alla possibilità di realizzare un bilancio sociale, o alla chance di trasformarsi, di strutturarsi diversamente, perché hanno realizzato di essere cresciute, di aver creato un cambiamento all’interno del contesto comunitario o di essere diventate un marchio riconosciuto di servizi”.

Marialuisa Giancaspro, esperta in mappatura ed assessment delle competenze e nell’analisi degli assetti organizzativi per il C.A.P., ha aggiunto: “Attraverso DimiCome, la sistematizzazione delle buone pratiche che si mettono in atto per dare valore alle soft skill dei migranti hanno trovato una collocazione chiara e il progetto ha offerto la possibilità di condividere gli strumenti di approccio al beneficiario. Strumenti che rappresentano momenti fondamentali di consapevolezza innanzitutto per gli utenti, quindi per le imprese e per il territorio. Il secondo aspetto è la possibilità di usare questa consapevolezza in un progetto di vita e di lavoro mentre dentro un percorso consulenziale attiva un vero e proprio percorso di accompagnamento all’inclusione”.

 

 

Nel corso del convegno, non solo strumenti ma testimonianze di imprese che valorizzano le risorse umane immigrate e che hanno puntato sulla “diversità” come elemento di forza, creando modelli di inclusione lavorativa. 

Vito Genco, presidente del Consorzio Mestieri Puglia: “Se è vero che abbiamo una situazione complicata dal punto di vista del mercato del lavoro, lo è meno dal punto di vista dell’inclusione sociale e lavorativa. Da regione di confine, siamo abituati al linguaggio plurale in cui, diceva il sociologo Franco Cassano, ‘nasce come una vegetazione spontanea il proletariato del mondo’. Geograficamente siamo cioè abituati a conoscerlo e a farcene carico. E’ nato così Consorzio Mestieri. Oggi siamo un’agenzia per il lavoro che nel 2020 è riuscita a trovare lavoro stabile a 200 persone, ma siamo un’agenzia particolare. Perché siamo nati occupandoci delle persone vulnerabili, provando a capire le loro esigenze, conoscendo le loro storie, le loro relazioni e le loro reti sociali per poi presentare le loro competenze al sistema produttivo locale. Facevamo un servizio di welfare ma ci siamo accorti che c’era tanta disponibilità ad accogliere la manodopera delle persone con difficoltà. Così ora, da agenzia per il lavoro, continuiamo a portare la nostra esperienza di erogatori di welfare a queste persone, accompagnandole oltre la soglia del lavoro. Cerchiamo di non lasciarle sole ma di offrire servizi di sostegno perché queste persone più fragili possano sentirsi più forti e strutturate al momento di entrare nel mondo del lavoro. Il nostro modello di impresa prevede tre principi: la multidimensionalità, ovvero non siamo solo erogatori di servizi per il lavoro ma anche di welfare; crediamo nella dinamica virtuosa tra imprese-agenzia per il lavoro-enti pubblici, che su certi target assumono un ruolo fondamentale; e sosteniamo che il percorso di inserimento non passi solo dal reddito ma dai servizi di accompagnamento e inclusione”. 

Il progetto DimiCome ha inoltre dotato 150 persone con background migratorio – tra cui beneficiari di protezione internazionale o sussidiaria o titolari di permesso per motivi umanitari, disoccupati di lungo periodo e giovani Neet – di un portfolio di soft skill da utilizzare nella ricerca attiva di lavoro. Si tratta di competenze spesso non riconosciute che, se valorizzate, possono dare una marcia in più ai migranti nella ricerca di lavoro e, contemporaneamente, avere un’importanza strategica per le imprese e i sistemi di produzione.

Fausta Scardigno, presidente del C.A.P. di Uniba: “Con questo progetto abbiamo avuto la possibilità di incontrare, raccogliere, raccontare preziose storie di vita. Non abbiamo ‘solo’ messo in trasparenza competenze. Abbiamo lavorato per valorizzare le unicità nelle diversità, per cui è importante sottolineare la storia di chi ce l’ha fatta non a mero titolo esemplificativo ma per confrontarci con le esigenze reali di persone che hanno alle spalle importanti background migratori, non solo il bisogno di formarsi o di percepire un reddito da lavoro”.

Due testimonianze hanno dimostrato l’utilità pratica di contare su un modello di inclusione lavorativa in grado di valorizzare le competenze dei migranti.

K. ha sottolineato quanto sia “importante per un rifugiato la messa in trasparenza delle competenze perché è essenziale avere linee guida a cui fare riferimento una volta arrivati in un nuovo Paese, non solo per migliorare a livello personale ma perché sono uno strumento utile a livello lavorativo, per crescere professionalmente e per inserirsi nel contesto sociale”.

S. ha invece sottolineato il “valore umano di un progetto come DimiCome perché mette in campo un’operazione molto delicata. E’ difficile capire l’altro quando lo si ascolta per aiutarlo a far emergere le sue competenze. Riconoscere le nostre abilità e i nostri punti di forza non è facile e farli venire fuori attraverso un confronto con un valutatore non è semplice, eppure sapere chi siamo o come dobbiamo migliorarci è molto importante per andare avanti nel nostro processo di inserimento e crescita personale”.

 

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pubblicato il 20/11/2021 ultima modifica 09/05/2022