Identità uguale appartenenza (ma a cosa?)
Alla base di un processo identitario c'è un sentimento di appartenenza: i membri di una comunità condividono idee, pensieri, abitudini e tradizioni, lingua e prossemica, attraverso cui si consolidano i legami sociali e si favorisce la costruzione del senso di identità sociale, etnica, religiosa, culturale, di genere.
L’appartenenza funziona come una categoria di pensiero le cui implicazioni emotive-cognitive regolano i rapporti tra persone e gruppi.
L’esistenza di un gruppo presuppone un processo di autodefinizione e di eterodefinizione. Il senso di appartenenza cioè, permette al gruppo di erigere un muro, definire un confine simbolico che ha il compito di separarli e distinguerli da chi è all’esterno del gruppo.
Paradossalmente, dice il canadese Charles Taylor, è proprio l’esistenza degli altri ciò che consente al gruppo di rimanere coeso e di conservare le proprie caratteristiche distintive. Un gruppo quindi, è anche l’esito di un processo di costruzione sociale delle differenze: i concetti di razza o di gruppo etnico sono costruiti socialmente.
L’identità è espressione di stabilità, è il parametro a cui non si può rinunciare se non si vuole essere emarginati ovvero considerati diversi, esterni al gruppo tanto che l’estremizzazione del senso di appartenenza, che poi degenera nel razzismo, è dovuta proprio alla paura di perdere i propri punti di riferimento. Succede anzi che l'origine culturale dell'identità, generando un orizzonte di precarietà e instabilità, sia proprio ciò che fa nascere il bisogno e il sentimento di appartenere ad un gruppo, e di essere accettato da quel gruppo.
Ma appartenere non è una definizione immobile. Come ci evolviamo noi, così cambia il gruppo di appartenenza. E' cioè sbagliato pensarlo uno schema rigido, un’etichetta stampata su un contenitore sempre uguale a se stessa nel tempo quando invece la lista degli ingredienti è sempre differente.
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