Cultura come ragnatela di significati, mente come rete flessibile

L’antropologo statunitense Clifford Geertz definisce la cultura come una “ragnatela di significati” che gli individui costruiscono entrando in relazione gli uni con gli altri.

Se nel mondo globalizzato e migrante è improponibile un modello secondo cui ogni individuo possa essere connotato dal luogo in cui vive e da una sua peculiare e caratteristica cultura, come in un puzzle dove ogni tessera ha una sua precisa posizione, è evidente che oggi serve un approccio alla diversità culturale capace di tener conto del carattere dinamico delle nostre comunità e delle sfide legate al cambiamento culturale.

Il principio, suggerisce lo psicologo Luigi Anolli, è “applicare, di volta in volta, in modo pertinente, i modelli consonanti con un certo contesto culturale”.

Peraltro occorre ricordare che “la mente è in grado di appropriarsi di modelli culturali anche divergenti e di farli coesistere facendo ricorso a molteplici meccanismi di separazione (nel tempo o circostanze) o di integrazione”. Ne con segue che “in questa prospettiva, la cultura non è una forma mentale totale né una struttura pienamente inconsapevole e implicita, ma è una rete flessibile di conoscenze, di categorie e di modelli dominio-specifici, connessi a determinati contesti”.

Lo sforzo da fare, visto che siamo così abituati a vivere nella nostra dimensione culturale da ritenerla naturale e universale, cioè diamo per scontato che tutti la condividano, è “smontare questo meccanismo”.

Sarà solo il primo passo. Ma sicuramente sarà un ottimo punto di partenza.

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pubblicato il 02/03/2020 ultima modifica 09/05/2022