Prof.ssa Maria Grano: “A Cape Canaveral abbiamo portato il test per molecola made in Puglia”

È coordinato dalla scienziata Maria Grano (Dipartimento dell'Emergenza e dei Trapianti di Organi) il pool di ricercatori dell'Ateneo barese che, dopo anni di ricerche sulla molecola Irisina, ha dato vita all'esperimento "In vitro bone", finanziato dall'Agenzia spaziale europea. Partito lunedì da Cape Canaveral l’esperimento, che durerà 28 giorni, è finalizzato a testare l'efficacia dell’Irisina per combattere l'osteoporosi e l'atrofia muscolare, ma anche ad agevolare le future missioni dell'uomo nello spazio

 

Articolo pubblicato sul quotidiano "La Repubblica" del 4 aprile 2018

Intervista di Antonio di Giacomo alla prof.ssa Maria Grano, professore ordinario di Istologia dell'Università di Bari che dirige l'équipe di ricercatori di Bari e Foggia, Graziana Colaianni, Silvia Colucci, Giorgio Mori e Giacomina Brunetti

È italiano, anzi made in Bari, il test “In vitro bone” che, partito lunedì da Cape Canaveral a bordo della capsula Dragon, raggiungerà oggi la Stazione spaziale. E dietro c’è il lavoro di un pool di ricercatori dell’Ateneo barese, guidati dalla scienziata Maria Grano, ora a Cape Canaveral, finalizzato a combattere l’osteoporosi e aiutare le future missioni nello spazio.

Professoressa Grano, in cosa consiste l'esperimento? «Nell’allestimento di un sistema in cui le cellule ossee vengono integrate all’interno di una impalcatura sintetica tridimensionale, che riproduce l’architettura dell’osso, al fine di mimare in vitro la struttura che ha l’osso in vivo».

Cosa c'è a bordo della capsula?

«Sono presenti numerosi esperimenti di biomedicina spaziale allestiti nei laboratori della Nasa da diversi gruppi di ricercatori europei e americani.
Inoltre, con la stessa capsula sono stati anche inviati rifornimenti alimentari per gli astronauti che attualmente si trovano sulla Stazione spaziale internazionale»

Il test sarà seguito a distanza e come?

«Si, sarà seguito in remoto dagli ingegneri dell’azienda canadese “CALM Tecnologies INC” che, attraverso un sofisticato hardware, controlleranno che tutte le condizioni sperimentali, messe a punto nei nostri laboratori, si verifichino correttamente per tutta la durata dell’esperimento in orbita».

Alla base di tutto c'è la molecola Irisina, il cui ruolo sull’apparato muscolo-scheletrico è stato scoperto nell'Ateneo barese dal suo team. Ci racconta com’è avvenuta la scoperta e come è stata testata qui sulla terra?

«L'Irisina è stata scoperta nel 2012 da un’équipe di Harvard. È una proteina prodotta dal muscolo durante l’esercizio fisico ed è stata inizialmente descritta dagli americani come una molecola in grado di trasformare il grasso bianco nel più salutare grasso bruno. Si deve però ai nostri studi la rivelazione del suo ruolo primario: l’aumento di massa e resistenza ossea».

Può spiegarci meglio?

«Nel 2015, dopo tre anni di intenso lavoro della mia equipe, abbiamo dimostrato che una concentrazione di Irisina molto più bassa rispetto a quella attiva sul tessuto adiposo, usata dagli americani, induce la formazione di nuovo osso e rende lo scheletro più resistente alle fratture. Nel 2017 abbiamo dimostrato che tale effetto era ancora più marcato sull’osso osteoporotico. Infatti, la somministrazione di Irisina, in modelli sperimentali osteoporotici, è in grado sia di prevenire che curare osteoporosi e atrofia muscolare. Essa, infatti, induce un aumento della massa ossea ed inoltre previene il deterioramento muscolare (sarcopenia) che è sempre associato allo sviluppo di osteoporosi. Sono state inoltre individuate le cellule bersaglio e i meccanismi molecolari attraverso i quali Irisina esplica gli effetti descritti».

Perché il test proprio nello spazio?

«Perché tra gli organi che più risentono degli effetti della permanenza nello spazio sicuramente l’apparato muscolo-scheletrico è quello più colpito. La perdita di massa ossea a cui vanno incontro gli astronauti dopo 1 mese di assenza di gravità è pari alla perdita ossea a cui vanno incontro le donne in post-menopausa in 1 anno. Lo spazio si può, infatti, definire come una “macchina del tempo", in cui i processi di invecchiamento sono accelerati e rendono le cellule più “anziane" in poco tempo»

Quali applicazioni potrebbe avere la molecola Irisina rispetto all’uomo?

«Sono molteplici poiché un numero elevatissimo di persone nel mondo (circa 200 milioni) soffre di osteoporosi con conseguente elevato rischio di fratture da fragilità ossea. Di osteoporosi soffrono anche pazienti che fanno terapia cortisonica, i diabetici, gli obesi e gli astronauti durante le missioni spaziali per l’assenza di gravità».

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pubblicato il 05/04/2018 ultima modifica 05/04/2018 scaduto